TTIP o Democrazia, non si possono avere entrambi!

Il 17 giugno 2013, durante il G8 irlandese, sono partite le negoziazioni formali sul Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), un progetto di accordo commerciale tra l’Unione Europea (UE) e gli Stati Uniti (USA). I sostenitori del trattato sostengono che favorirà la libera circolazione delle merci, creando nuovi posti di lavoro e opportunità per tutte quelle imprese che sapranno internazionalizzarsi.

Detto così, sembrerebbe un’occasione da non perdere. Un più attento esame dei modi e dei contenuti dell’accordo però, ne rivelano la vera natura, soprattutto se si prende in considerazione che tra l’UE e gli USA sono ben poche le barriere alla libera circolazione delle merci, essendo entrambi parte dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Ad un più attento esame quindi, il vero obiettivo sembrerebbe l’armonizzazione di standard e norme. Veniamone in sintesi i punti controversi.

Mancanza di trasparenza  

Non stupitevi se non avete mai sentito parlare del TTIP. È infatti grazie all’intervento dell’Autorità europea per il buon funzionamento delle istituzioni che, sotto pressione della società civile, la Commissione UE ha pubblicato i primi testi nel gennaio 2015. Basti pensare che per visionare i documenti i parlamentari europei devono accedere, dietro prenotazione, ad una camera di lettura dove non possono portare oggetti personali e ai quali è vietato prendere appunti. Ancora oggi i testi più importanti rimangono secretati e nessuno sa di preciso cosa il governo americano stia chiedendo all’Europa.

Un serio problema democratico

Il TTIP integra al proprio interno un meccanismo potenzialmente pericoloso: la Risoluzione delle controversie investitore-stato (ISDS). Secondo quest’ultimo le compagnie estere che vogliono sfidare le regolamentazioni nazionali saranno in grado di aggirarle ricorrendo a specifici tribunali, una sorta di giustizia ‘privatizzata’ insomma. Le aziende avranno la possibilità di citare in giudizio i governi stranieri le cui leggi dovessero causare una perdita di profitto agli investitori. Ci sono già molti esempi, come la compagnia di tabacco Philip Morris che ha fatto causa all’Australia per voler sostituire ai marchi sui pacchetti di sigarette con immagini per dissuaderne l’uso. La Germania è stata citata in giudizio dalla compagnia svedese Vattenfall che ha chiesto 3,7 milioni di euro di compensazione per la perdita di profitti dovuta alla decisione del governo di retrocedere dal piano di energia nucleare dopo Fukushima. Stessa sorte è toccata al Canada dopo aver proibito alla Ethyl di commercializzare un prodotto contenente MMT, considerata una pericolosa tossina. Mi fermo qua, ma l’elenco potrebbe continuare.

Abbassamento degli standard alimentari

Altro obiettivo dell’accordo è la cosiddetta ‘armonizzazione’ di standard e regole. La cosa suona piuttosto innocente, fino a che non si considera che raramente le grandi compagnie puntano ad un loro innalzamento. Prendendo ad esempio il settore agroalimentare, sono molte le differenze tra le legislazioni UE e USA. Questi ultimi infatti permettono l’uso massiccio e senza obbligo di etichettatura di OGM, di ormoni della crescita e pesticidi ritenuti pericolosi in Europa oltre al lavaggio delle carcasse dei polli con il cloro. Sempre per ribadire il deficit democratico delle negoziazioni, si ricorda che la lobby dell’agroalimentare ha incontrato la Commissione UE 113 volte per il TTIP, le ONG solo 26.

Attacco ai servizi pubblici

Sul fronte dei servizi il pericolo riguarderebbe quelli essenziali di alto valore commerciale come scuola, sanità, acqua, previdenza e pensioni, che sarebbero esposti a ulteriori privatizzazioni e alla potenziale acquisizione da parte dei gruppi economico-finanziari più competitivi. La capacità dei governi di creare misure protettive come i contratti di lavoro, misure di salvaguardia sociale e ambientale o la semplice recessione dai contratti di privatizzazione, potrebbe essere ulteriormente indebolita a vantaggio dei profitto dei privati.

Le regole commerciali hanno la prevalenza sulla sostenibilità

E’ una condizione presente non solo nel TTIP, ma anche in altri trattati di libero scambio negoziati dall’UE. Mentre la non ottemperanza alle regole commerciali può portare a sanzioni da parte di organismi di risoluzione delle controversie, sono assenti tutti i vincoli di rispetto delle convenzioni internazionali sull’ambiente e il clima.

I risultati negativi di simili accordi commerciali

Per quanto riguarda la tanto vantata crescita di occupazione ed esportazioni sarebbe utile dare uno sguardo a qualche precedente. L’ex presidente degli USA Bill Clinton ha promesso 20 anni fa che il Trattato sul libero commercio del nord America avrebbe creato 200.000 posti di lavoro. Risultato: 680.000 posti persi e deficit del mercato USA. Più recentemente il presidente Obama ha promesso che il Trattato di libero commercio Korea-USA del 2012 avrebbe aumentato le esportazioni di 10 miliardi di dollari e creato 70.000 posti di lavoro. Anche qui le sorprese sono state amare: esportazioni calate di 3,5 miliardi di dollari, 40.000 posti di lavoro persi e un deficit commerciale bilaterale peggiore del 50%.

Cosa possiamo fare?

Sono molti anni ormai che associazioni, movimenti dal basso e istituzioni internazionali come la FAO e le agenzie ONU che lavorano su agricoltura, commercio e sviluppo, richiamano l’attenzione sul fatto che rafforzare i mercati locali è la via per uscire dalla crisi non solo economica, ma soprattutto ambientale e sociale che ci affligge da anni. Il TTIP va nella direzione opposta, forzando ulteriormente processi aggressivi di liberalizzazione e globalizzazione i cui effetti sono sotto i nostri occhi. È questa l’eredità che vogliamo lasciare alle nuove generazioni?

 

Per saperne di più e aderire alla campagna contro il TTIP visitate il sito http://stop-ttip-italia.net